Iran al voto per scegliere il nuovo presidente. Il Paese in bilico tra riforme e conservazione

di redazione 19/05/2017 NON SOLO OCCIDENTE
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Urne aperte in Iran per l'elezione di un nuovo presidente, a quattro anni dall'elezione del moderato riformista Hassan Rohani che torna a candidarsi in contrapposizione al conservatore Ebrahim Raisi. Le elezioni presidenziali in Iran si svolgono simultaneamente con le elezioni dei Consigli islamici di città e villaggi.

L'Iran al voto, i giovani tra apertura e conservazione 

  Tra i giovani studenti, fuori dall'Università di Teheran, si ha netta l'impressione che ci sia una fiducia diffusa per la politica di apertura condotta dall'attuale presidente Hassan Rohani. Molti, oggi, voteranno alle presidenziali per la prima volta. E anche per questo si sentono più coinvolti. Ma non mancano gli scettici. A farsi portavoce di un gruppetto di ragazzi che si sentono più vicini alle posizioni di Rohani è Sajjad, 23 anni, studente di geografia politica.

Come tutta la sua famiglia voterà per l'attuale presidente. Il motivo è semplice: "Non vogliamo tornare all'epoca di Ahmadinejad, perché voleva far diventare l'Iran come il Venezuela". Anche Sajjad torna sull'accordo nucleare, grazie al quale "il presidente e il ministro degli Esteri Zarif hanno portato speranza e sorriso agli iraniani, perché avevamo sofferto molto con le sanzioni. Mancavano medicine, avevamo vecchi aerei e attrezzature obsolete nel nostro importante settore petrolifero". Ora, secondo Sajjad, "proprio grazie a quell'accordo molti problemi sono stati rimossi" e inoltre, "nel corso degli ultimi quattro anni, Rohani ha mostrato il vero volto pacifico degli iraniani al mondo e lui e la sua squadra hanno portato gloria a tutti gli iraniani che vivono all'interno e all'esterno del Paese". Ma "oltre alla stabilità dei prezzi, all'aumento delle sovvenzioni alle persone a basso reddito e alla buona situazione dei servizi sanitari", c'è poi un'altra cosa sottolineata da Sajjad e che piace particolarmente ai giovani: "Con Rohani si è aperta una nuova era, così anche internet e social network sono cresciuti".

A farsi invece portavoce degli studenti di altre vedute è Zahra, 24 anni, studentessa di management aziendale. Anche lei non ha alcun dubbio su come votare: "Voterò per Ebrahim Raisi (il candidato conservatore, ndr) perché ritengo che sia il caso di cambiare rotta". Sulla politica portata avanti da Rohani e sui risultati Zahra la vede in maniera completamente opposta al suo collega: "La disoccupazione ha un tasso elevato - afferma - ed esistono problemi economici di ogni tipo, compreso quello relativo alle abitazioni". Anche lei, come tutti i sostenitori di Raisi, ritiene inoltre che "il governo di Rohani si è inchinato all'Occidente" e che "l'accordo sul nucleare non ha portato alcun beneficio per il Paese". Sul fronte sociale, poi, Zahra è convinta che "Raisi saprà portare grandi vantaggi ai meno abbienti, perché ha promesso che aumenterà di tre volte le sovvenzioni". Il ministro dell'Interno, Abdolreza Rahmani Fazli, ha previsto una partecipazione al voto del 72% circa degli aventi diritto, che sono in tutto oltre 56 milioni. Oggi, nelle urne, si deciderà il futuro di questo Paese, centrale per gli equilibri di tutta la regione, proprio nel giorno in cui Donald Trump volerà in Arabia Saudita, nemico storico degli ayatollah, per rinsaldare l'asse tra Washington e Riad.

Secondo l’articolo 115 della costituzione iraniana, alle elezioni presidenziali si possono candidare donne e uomini, maggiorenni, con la fedina penale pulita, devoti ai princìpi fondamentali della Repubblica islamica e alla religione di stato, lo sciismo. Nel 2013 si presentarono 650 aspiranti candidati, quest’anno nella fase iniziale erano 1.636, tra i 18 e i 92 anni; 137 erano donne.

Formalmente le donne possono candidarsi, ma in Iran tutto è una questione d’interpretazione. Secondo la costituzione, infatti, un candidato deve essere rejal siasi, ovvero una personalità politica. Nella grammatica persiana non esiste il genere femminile o maschile, e per anni i conservatori – nella convinzione che una donna non sia intellettualmente capace di diventare presidente – hanno sfruttato l’ambiguità traducendo la parola con “uomo di stato”. Dal 2009 invece è stato deciso che il significato più corretto fosse “élite politica” aprendo quindi le porte anche alle donne.

L’apparente democraticità del sistema elettorale si scontra con l’azione del consiglio dei guardiani della rivoluzione. Composto da sei esperti di legge islamica scelti dalla guida suprema, Ali Khamenei, e da sei giuristi eletti dal parlamento, è il consiglio a selezionare chi correrà alle presidenziali: dopo la scrematura operata dai giuristi, erano rimasti in lizza solo sei candidati, di cui due si sono ritirati alla vigilia del voto.

 I candidati

  • Hassan Rohani è presidente dal 2013, quando ha vinto le elezioni grazie allo slogan “moderazione e prudenza” interrompendo gli otto anni di isolamento internazionale del paese durante l’amministrazione di Mahmud Ahmadinejad. Rohani ha ancora il sostegno di moderati e riformisti, malgrado una certa delusione per il miracolo economico promesso e non ancora arrivato. Rohani conquisterà i voti anche dell’ex candidato Eshaq Jahangiri, attuale vicepresidente ed ex governatore di Isfahan, anche lui del fronte riformista, che come previsto si è ritirato all’ultimo momento per favorire il presidente.
  • Ebrahim Raisi è il candidato della coalizione conservatrice Fronte popolare delle forze della rivoluzione islamica. Ha il suo grande bacino elettorale a Mashhad dove dirige la fondazione Astan Qods che gestisce i beni del santuario dell’ottavo imam sciita. Essendo uno dei luoghi più importanti del pellegrinaggio sciita, la fondazione è un grosso centro di potere religioso ed economico. Raisi è considerato l’avversario più pericoloso di Rohani, anche perché ha ricevuto l’appoggio del sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf, un altro conservatore, che ha ritirato la sua candidatura il 15 maggio.
  • Seyed Mostafa Agha Mirsalim, ex ministro della cultura con Rafsanjani, era già attivo politicamente prima della rivoluzione come direttore dell’azienda ferroviaria urbana e suburbana di Teheran. Un ostacolo alla sua vittoria potrebbe essere la nazionalità di sua moglie, francese.
  • Mustafa Hashemi Taba è visto come una candidatura “tattica” per disperdere voti sul fronte riformista. Si era già candidato nel 2001 ottenendo lo 0.1 per cento dei voti.


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